Uno dei principali ostacoli alla creazione di un’economia circolare in grado di utilizzare — in tutto o in larga misura — cryptomonete, con specifico riferimento a coin privacy-ordiented (Monero, Z-cash, DASH, o anche lo stesso Bitcoin entro determinati parametri), è a mio avviso il fatto che tali economie molto difficilmente potrebbero essere riferite a prodotti paragonabili a quelli forniti dalle grandi accumulazioni industriali.
Il perché è secondo me evidente, ma cercherò comunque di spiegarlo. Supponiamo di usare una moneta piuttosto rapida per effettuare transazioni assolutamente private, peer-to-peer, native e onchain. Scelgo il Monero non solo per mia simpatia personale, ma anche per ragioni di effettivo pregio.
Ora, una transazione in XMR dovrebbe avvenire in un contesto privato, fiduciario, intimo. In un contesto del genere posso vendere una mia bicicletta (originariamente comprata, come ovvio, in fiat money), oppure posso vendere una marmellata fatta con le mie mani (a partire da ingredienti che quasi certamente ho pagato in fiat money). Ma potrei mai vendere, non più come privato, ma come azienda assolutamente organizzata, oggetti da me prodotti a livello industriale? la risposta è no, per il fatto che tali oggetti fanno capo a un sistema dove le uscite monetarie per produrli sono assolutamente registrate in contabilità ordinarie, e le entrate derivanti dalla vendita devono rispondere alle medesime richieste. In altre parole, il mercato di riferimento per una qualsiasi economia circolare in crypto è necessariamente confinato entro una dimensione locale, personale, rionale, o comunque lungo una dinamica che riguarda meccanismi di rivendita da parte di privati.
Che poi tale modalità possa anche essere foriera di micro-business, questo è un altro paio di maniche. Ma di fatto ci stiamo riferendo a prodotti o servizi che, oltre ad essere organizzati all’interno di una comunità “frontale e fiduciaria”, devono anche porgere una certa sensatezza della privacy.
Ma che tipologia di prodotto o servizio potrebbe veicolare una sensatezza univoca nell’essere acquistato con crypto?
Dal mio punto di vista un qualsiasi acquisto svolto con una certa moneta avviene quando sono soddisfatte solo due prerogative:
- Il cliente deve ovviamente sentire il bisogno di avere quel prodotto o servizio.
- Il cliente deve essere in possesso del potere monetario d’acquisto per acquistare quel prodotto o servizio, giudicando il valore intrinseco o estrinseco di quel prodotto o servizio superiore al valore del potere monetario d’acquisto perso nella transazione.
Nel caso specifico di una moneta “crypto”, il quadro si complica, in quanto le crypto possono essere praticamente solo comprate (perdendo una minima quantità di potere d’acquisto monetario “fiat” in commissioni, che, per quanto esigue, vanno comunque conteggiate), e solo in pochissimi casi guadagnate nativamente.
Se nel caso di crypto guadagnate nativamente è piuttosto ovvio che l’utente spenderà le medesime in via del tutto naturale, essendo sconveniente qualsiasi passaggio di cambio, è altrettanto ovvio che acquistare crypto per poi spenderle subito in prodotti o servizi anche in assenza di plusvalenze è prassi che deve risultare giustificata, e la giustificazione può essere solo lungo due grandi direttrici:
La prima riguarda il valore, e scatta solo al cospetto di una scelta tra prezzo pieno in fiat money e prezzo scontato in crypto. Abbiamo in questo caso una scelta che riguarda l’incentivo strettamente economico.
La seconda riguarda la modalità di acquisto. Per esempio, nel caso di acquisto di un prodotto per il quale l’utente desidera rimanere assolutamente anonimo e non tracciato, è chiaro che anche un surplus di valore, ovvero una maggiorazione di prezzo rispetto alla cifra in valuta fiat, può essere ritenuta soddisfacente.
Chiamo queste due opzioni rispettivamente incentivo economico e incentivo modale. Il secondo, nel caso delle crypto, ha a che fare essenzialmente con la privacy e la natura decentralizzata delle stesse.
In questa argomentazione è opportuno inserire anche un ulteriore aspetto, che è quello della curva d’apprendimento. Usare le crypto, infatti, non è la stessa cosa che usare del banale contante, quindi sussiste un ostacolo aggiuntivo: la formazione di base del potenziale cliente, che, laddove assente, contribuisce a forti restrizioni sul target potenziale di riferimento dell’offerta.
Soppesando il tutto, si comprende quanto un’economia circolare in crypto sia fattispecie ben poco “gettonata”, e di conseguenza come il mondo crypto sia per la stragrande maggioranza dei casi d’uso rappresentato da trading e investimento, ossia da prassi orientate unicamente o principalmente all’aspetto valoriale, e molto meno a quello modale.