Claude, Eno, Kleon e Oltre

Ho consultato Claude in materia di “prassi creative seguendo l’esempio di Brian Eno”, e ne sono scaturiti suggerimenti piuttosto interessanti. Per esempio, quello (sintetizzo) di diminuire drasticamente gli elementi in gioco, al fine di costringere il processo creativo a esaltarne le potenzialità in senso combinatorio (concetto comunque espresso anche da Austin Kleon, e decine di altri importantissimi come lui).

Mi chiedevo quali potessero essere i campi applicativi. Perché sì, i campi applicativi sono comunque importanti. Nel mio caso, evidentemente, la scrittura applicata al web, e la relativa multimedialità, che vorrei indirizzare maggiormente verso il visual thinking e le sketchnote, o qualcosa di molto simile.

C’è anche un altro concetto che mi interessa, sia pure in una modalità che credo sia piuttosto diversa dall’originale. Parlo dell’arte generativa. In questo caso mi piace pensare a un insieme di processi che vengono semplicemente osservati, fino a distillare qualcosa che ci possa essere utile.

Ci penserò.

Filosofia Outliner

Ricordo che un fanatico della forma outliner era Umberto Santucci, personaggio che conobbi nei primi anni Duemila lungo la scia della mia militanza in una folta compagnia milanese di formatori e seguaci del pensiero creativo, e che so essere ancora molto attivo nel campo della consulenza. Lo trovate per esempio in un’interessante newsletter di Substack (piattaforma dove peraltro trovate anche me).

Da notare che la struttura a outliner — parliamo di OPML file come base di tutto — è anche quella che letteralmente domina tutto il software di blogging rilasciato in rete da Dave Winer, compreso quello che ospita il mio Fresh Blog (Drummer).

:star: Ebbene, ho iniziato a usar outliner come standard. Per esempio, sto utilizzando il servizio Dynalist praticamente per tutto quello che faccio: schemi, bozze di post e articoli, procedure, todo list, reference testuali e ipertestuali e ovviamente varie cose bizzarre che di solito annotavo su taccuini rigorosamente cartacei (che si accumulano a tutt’oggi in casa).

Vorrei da questo punto di vista definire uno spartiacque tra la scrittura digitale e quella analogica. Più precisamente, definire una pianificazione di rilettura delle annotazioni cartacee, da inglobare in un sistema totalmente a parte rispetto all’autonoma scrittura elettronica.

L’outliner rappresenta una sorta di snodo per implementare questa radicale separazione. Nel senso che tutto ciò che non è outliner sarà per forza di cose composition book cartaceo.

Vi farò sapere se il sistema funziona…

Tutto Qui (a Typewriter-Post)

Sono sempre rimasto a dir poco affascinato dai blog dattiloscritti, una sorta di moda di qualche tempo fa, che fondeva appunto il mezzo digitale con l’arte di passare allo scanner fogli di carta imbrattati da strumenti analogici di scrittura.

Direi che è tutto qui…

Poesie Musicassette e Gemellaggi

Solo per Me — Una poesia di questa mattina. Ho ripreso a scrivere poesie seguendo una sorta di implicito consiglio di Ray Bradbury. Il consiglio lo trovate nel libro Zen in the Art of Writing. Lo trovate, cioè, se lo cercate. Non è un libro particolarmente didascalico, anzi. Ma direi che è proprio questo il suo valore…

Austin Kleon musicassette — Peraltro, trovo interessante che Sherlock Holmes sia proprio in questa sua playlist. Mi piace l’idea. Da bambino ne facevo peraltro parecchie di musicassette personalizzate. Era un lavoro piuttosto istruttivo sul piano della creatività. Il digitale spinto ha rettificato di molto la nostra capacità manuale di fondere le cose per creare novità.

Burle e somiglianze musicali — Quella delle “somiglianze musicali”, per ogni musicista, è una sorta di ossessione. Il pop è pieno zeppo di somiglianze, ora volute, ora non volute, oppure anche subliminali: canzoni che scivolano in altre o sembrano essere fatte apposta per un mashup, ritornelli presi di peso, ispirazioni da schemi antichi o antichissimi, e via discorrendo. Tempo fa ho inserito questa cosa pure in un corso di songwriting tenuto a Vicenza, che ha goduto peraltro di un notevole successo. Detto questo, ascoltiamo di fila Giulio Cesare e Every Little Thing She Does Is Magic.

Frammenti Ispirativi

La mia generazione è un remix di elementi indubbiamente analogici, ripensati in digitale. Pur restando un analogico per vocazione, è fuori discussione quanto determinati software possano semplificare – magari un po’ freddamente rispetto alle “scatole creative” di Twyla Tharp, ma efficacemente – alcuni processi creativi.

Ebbene, per qualsiasi professione abbia un minimo a che fare con aspetti compositivi – arte in genere, certo, scrittura, musica, scripting per la radio e la televisione o addirittura il cinema, ma anche e direi a profusione design di processo e prodotto, architettura, conduzione di team, facilitazione d’aula, e chi più ne ha più ne metta, consiglio vivamente questo software online chiamato Milanote. Eccone un esempio d’uso, tratto da una cosa che tempo fa mi fu co-commissionata. L’intero software ragiona nella modalità lavagne che contengono lavagne ed elementi che stanno dentro una lavagna. Tali lavagne, oltre ad altre lavagne (che a loro volta contengono appunto lavagne, secondo una logica ricorsiva), possono contenere immagini, annotazioni, colonne di elementi, grafici, testi, documenti, link, pantoni (nel caso di design avente a che fare con specifici colori), video, mappe territoriali, etc…

Qui vedete una minuscola lavagna grado zero, dove ho semplificato alcune ispirazioni generali per una storia.

Soliti Scarabocchi Ritrovati

Stamattina ho trovato un mio vecchio taccuino, imboscato nei meandri dello zaino che ho portato qui in vacanza assieme al mio Chromebook. (Ebbene sì, niente Vivaldi Browser. Di solito quando mi muovo vado di standardizzazione mainstream, anche perché la produttività personale in senso lato è messa da parte.)

Ci sono delle immagini veramente cool. Come questa, per esempio. Come vedete, amo utilizzare per questi ritagli la mia succursale di microblogging nel fediverso di Vivaldi Social, che vi invito a seguire e a usare.

https://social.vivaldi.net/@creativephil/111662851002610501

Nel medesimo taccuino ho anche trovato delle cose che mi ricordano la mia passione per il cinema di genere di quello che ho sempre chiamato “il cinquantennio pop”, dagli anni Cinquanta a poco dopo la fine degli anni Ottanta. Non saprei come inquadrarle, ma mi piacciono molto.

https://social.vivaldi.net/@creativephil/111662781419763742

Per non parlare di questo delirio discordiano, che mi suggerisce di continuare una certa lettura che ho messo momentaneamente nel cassetto: L’Occhio nella Piramide (1975). Ma questa è un’altra storia…

https://social.vivaldi.net/@creativephil/111662749235891074

Idee Preliminari sul Possibile Compbook

Intendiamoci: I miei composition book, che alcuni autori chiamano compbook, ovvero quei supporti analogici che uso mimando uno scopo paragonabile a quello della “scrittura scolastica”, non somigliano troppo a questo classico qui di fianco, che iconograficamente si associa alla scrittura più o meno creativa praticata nei campus e delle università statunitensi.

Mi piaceva però proporre un’immagine che fosse indicativa di ciò che penso nell’uscire quasi completamente dalla logica del puro visual thinking.

(A tale proposito avevo pure anticipato la cosa in un post.)

Mi sono reso conto che devo scrivere prosa su supporti grandi, almeno A4 direi. Per questo la cosa migliore sarebbe usare direttamente una risma di fogli, ma la cosa è ben poco applicabile alla necessità che ho di portarmi dietro le cose. Quindi per forza mi devo proprio rivolgere a formati “da compbook”, che di solito ruotano attorno alle proporzioni dello schema detto B.

In questo senso, adoro i prodotti della Rhodia…

Tuttavia credo che opterò per prodotti molto più semplici, che possano ricordarmi i vecchi quaderni di trenta, quarant’anni fa. Carta umile, penne a sfera, cose così…

Lo Stile dei Miei Nuovi Diari Visuali

La creatività deve imporre limiti e cornici. In questo senso, mi sono obbligato a usare i (miei amati) quaderni Clairfontaine (serie age bag) in un solo e unico modo, ovvero con pennarelli neri a punta ora tonda e grossa, ora a pennello. Una sola variante è permessa: il collage con sticker vari e carte incollate (scrapbooking, si direbbe). Ecco un esempio di cosa intendo…

Più che banalmente evidente, la somiglianza coi diari di Austin Kleon è deliberatamente programmatica. Voglio annotare diari esattamente come lui; non per copiarlo, ma per godere della stessa comodità nella quale lui sembra sguazzare nel compilarli.

La scelta di uno standard è infatti per me un problema molto sentito, non tanto per la scelta in sé, quanto per il tempo che mi costringe a dedicarle. Ergo, devo decidere a monte, imponendo una sorta di schema razionale da rispettare.

Quanto alla scrittura in sé, ho deciso invece di esercitarla completamente in altri contenitori, in forme che non somiglino minimamente a quelle del visual thinking.

Ma questa, come dicono i grandi, è un’altra storia, e verrà raccontata altrove.

Sul Cosiddetto Disegno Brutto: Confutazione

Oggi sono incappato in un sito veramente molto ben realizzato, appassionato e soprattutto utile. A me la dicitura “disegno brutto” però non piace molto, perché in realtà i risultati di questa metodica non porgono assolutamente un output effettivamente brutto. Più che altro direi selvaggio, spontaneo, immediato, bambinesco, con uno stile che ricorda peraltro svariati grandi artisti della grafica e della pittura (Saul Steinberg, Paul Klee, solo per citarne alcuni).

Se poi ci spostiamo al campo del pensiero visuale, l’adagio di Mike Rohde parla chiaro: riferendosi alla tecnica della sketchnote (da lui ideata), la denota precisando che riguarda le idee, e non l’arte. Quindi, nel parlare di immagini che servono a pensare, ci riferiamo comunque a una forma di disegno che si valuta per la sua funzione, e non per il suo contenuto estetico.

Ma è veramente così? Secondo me no, ovvero non proprio, e la realtà è ancora più sottile e intrigante. Cercherò di spiegarla al meglio.

Esiste a mio avviso un’estetica della funzionalità, una sorta di punto intermedio, di proporzione quasi aurea, che dovrebbe intercettare un affinarsi lungo la via del disegnare non manieristico, ma comunque legato a un’efficacia comunicativa che è nel contempo funzione e bellezza. Esiste, cioè, un galateo che non allude alla bellezza, che so, di un’immagine copiata a mano con precisione fotografica, o di uno schizzo in perfetta prospettiva annotato da un abilissimo architetto, ma risponde a esigenze diverse, a sensibilità alternative, nonché a istanze altrettanto conformi alla bellezza in senso lato.

Il rifiuto del manierismo non è il rifiuto di una certa concezione dell’equilibrio compositivo, che può tranquillamente essere fatto di eccessi e di misure, in un mix che la pratica può efficacemente individuare.

Il mio modo di disegnare è solo mio. Procede per tentativi, giustapposizioni, montaggi, che hanno come unico scopo la costruzione di qualcosa che serva. Tutto qui.