Ho Iniziato un Corso di Creative Nonfiction

Ho iniziato un corso di creative nonfiction. Non so precisamente perché ho deciso di seguirlo; si tratta di un corso esclusivamente online, fatto di lezioni abbastanza brevi, di otto, dodici minuti ciascuna, o anche meno in certi casi. Il corso in generale non mi sembra particolarmente illuminante, o capace di consegnarmi chiavi metodologiche radicalmente determinanti per schiudere chissà che prorompente creatività. Ma per certi versi lo sto apprezzando proprio per questo: non dice troppo, ma spinge ad approfondire da sé, ovvero ad andare più in profondità nella pratica della scrittura.

La docente, Julia Bell, non è Natalie Goldberg. La prima è chiaramente un prodotto della contemporaneità a base di social e smartphone. La seconda è un mito che ho conosciuto attraverso il suo capolavoro (cito il titolo italiano) Scrivere Zen (1986). Ma questa distanza è colmabile, come ho detto. Sono io che devo colmarla, attraverso l’aggiunta di farina del mio sacco. Il corso in quanto tale funziona come una sorta di catalizzatore, ovvero di routine che mi spinge all’azione.

L’inerzia mi rende pigro. Molto pigro. Un corso come questo costituisce l’ottima occasione per rimettermi in moto.

Detto questo, ci sono alcune considerazioni che vorrei fissare, derivanti appunto dall’attento ascolto delle prime lezioni.

  1. La scrittura è un fatto di attenzione; nello specifico, di una forma di attenzione che procede per intensità e profondità. Essere attenti significa andare oltre le pure apparenze, prendersi del tempo per cercare e ricercare.
  2. La scrittura è un fatto di azione diretta, di manualità.
  3. La scrittura è riconoscimento della propria voce, in un procedimento che però sia di volta in volta tale da superare dei confini per accedere a nuovi livelli di consapevolezza e di utilizzo concreto della scrittura stessa. (Questo aspetto è complicato da gestire, ma da qualche parte bisogna pure iniziare.)
  4. L’arte in generale, compresa la scrittura, è un processo che somiglia alla digestione. Gli elementi da digerire sono vari, e spesso eterogenei. Questa cosa a dire il vero la sapevo, visto che le mie fonti di ispirazione sono sempre state diverse e non solo letterarie: penso alla musica di Brian Eno e John Zorn, oppure all’arte figurativa, tanto per citare qualche goccia nell’oceano. Però sentirselo dire in un corso assume un valore diverso, direi programmatico.
  5. Continuando dal punto recedente, c’è da dire che il processo di digestione può somigliare anche a un rimbalzo concettuale da A a B, e da B a C, laddove C può essere un’opera che nessuno immaginerebbe mai essere derivata da A. Questo aspetto è molto vicino alla letteratura.

La domanda successiva è: come utilizzerò tutto questo?

Flash Card Strategy

Da parecchio utilizzo metodi mediati dalla risorsa creativa della flash card, unità di informazione e consapevolezza da applicare, esattamente come una carta divinatoria, a qualsiasi questione.

Sto usando questo metodo soprattutto per trovare nuove idee da applicare al mio uso quotidiano del Web, nell’ottica di razionalizzarlo secondo un proficuo principio di suddivisione dei mie siti.

Il Re di Coppe mi comunica oggi la necessità di essere saggio e soprattutto gentile.

Nel mio caso, la parola “gentilezza” è associata al Web2, e (il volo sembra pindarico, ma nel mio caso non lo è) alla scrittrice e poetessa Natalie Goldberg. Una delle citazioni contenute nel suo “storico” Scrivere Zen (1986) è infatti proprio questa: quando scrivi, sii gentile.

Di solito non sono una persona pubblicamente avvezza all’essere troppo gentile, ma la gentilezza la apprezzo come ottimo strumento di consapevolezza.

La creatività fa sempre molta rima coi mazzi di carte, precostituiti o autocostruiti.

Creatività Politicamente Scorretta

Ho “conosciuto” la creatività (seria) attorno al 1995, leggendo un libro di Edward De Bono; non per niente si intitolava Serious Creativity. In seguito a questa lettura illuminante ho sviluppato quella che a buon titolo sarebbe diventata la mia passione primaria partecipando, nei primi anni Duemila, alle ferventi attività di Createca, animata dal celebre consulente francese Hubert Jaoui.

Sono sempre stato un grafomane, scrittore e disegnatore seriale. Il contatto col mondo creativo ha semplicemente intensificato questa mia attitudine. D’altra parte, da Leonardo da Vinci a Brian Eno, non esiste processo creativo che possa svilupparsi senza un prototipo grafico, che noi creativi siamo soliti annotare rigorosamente a mano.

All’epoca andavano per la maggiore le mappe mentali di Tony Buzan. Più recentemente, le stesse sono state operativamente inglobate come caso particolare nel modello “sketchnote”, proposto da Mike Rhode.

Ciò che amo del modello sketchnote è la sua estrema semplicità, a limite della banalità (come spesso accade nelle proposte formative statunitensi, che tendono a mettere a sistema anche l’ovvio). Tuttavia ci sono alcune “tendenziali” critiche che posso muovere ai risultati finali ottenuti da questo metodo. Riflettendoci sopra, sono giunto a una conclusione: tutte queste critiche sono riassumibili nell’idea di politicamente corretto.

Le sketchnote “ben realizzate” fanno spesso leva su meccanismi mentali “facili”, ossia freschi, positivi, sorridenti, appunto politicamente corretti e riferiti a una generica e (secondo me) scolorita cultura dell’innovazione. Questa cultura parla ormai linguaggi che reputo “già pensati”, colmi di un buonismo verde e arcobaleno che arrivo a ritenere ormai, nella loro diffusione totalizzante, alla stregua di un pensiero unico.

Gli stessi esiti “aziendalistici” un tantino eccessivi in termini di entusiasmo gratuito ed energia stile integratore alimentare sono presenti anche in un altro approccio, quello di Sunni Brown, che nel suo libro The Doodle Revolution introduce la tematica grafico-creativa in termini più ampi. Tuttavia rilevo in lei una maggiore esuberanza di fondo, almeno in senso teorico, che mi solletica parecchio e dalla quale si può certamente partire per giungere a configurazioni interessanti.

Ora, a parte le basi teoriche e soprattutto operative, che vanno comunque benissimo così, credo che esattamente su questa esuberanza potenzialmente onnivora si debba fare leva per parlare di creatività all’opera.

Quindi uno dei miei progetti personali sarà questo: depurare la creatività da ogni residuo di pensiero politicamente corretto. Avremo un pubblico più esiguo? Non importa. Anzi credo sia meglio.