Riprendo a Fare Sketchnote

Da parecchio tempo sono un fanatico di sketchnote taking, una prassi che ho appreso da Mike Rohde. Ho ripreso ad annotare in questa modalità. Ecco alcune pagine del mio notes.

Ora vorrei individuare una sorta di supporto standard. Mi sono sempre mosso da un prodotto all’altro, come per testare varie superfici e tipi di carta, ma ora vorrei soffermarmi su qualcosa di più standardizzato.

Bullet Journaling Effettivo

Da tempo cercavo un sistema organizzativo che evitasse i device elettronici (che adoro, ma che a mio avviso non sono adatti alla scrittura organizzativa), ovvero che “nativamente” utilizzasse semplicemente carta e penna, come amo fare anche nel visual thinking.

Ho trovato questo sistema nel cosiddetto bullet journal. Ma attenzione: il sistema ricalcato tale e quale ed eseguito supinamente, è a mio avviso un tantino troppo rigido e per certi versi eccessivamente lungo da impostare. Pure un esperto in materia come Matt Ragland lo dice chiaro e tondo, anche se secondo me anche i suoi consigli possono essere ulteriormente semplificati, per una convergenza alla configurazione migliore.

Insomma, lungi dal volervi imporre un sistema, vi consiglio caldamente di seguire il mio setup, che spiegherò di seguito in modo molto circostanziato, e soprattutto motivato.

My BuJo Setup

Innanzitutto, cos’è un bullet journal?

Per quel che mi riguarda è un quaderno o taccuino che viene opportunamente impostato per essere un punto di riferimento organizzativo personale con riferimento annuale (in sostituzione di qualsiasi agenda).

Quale taccuino scegliere?

Ce ne sono molti, anche troppi. Personalmente non utilizzo né i tanto blasonati Moleskine (che a mio avviso, e secondo chiunque abbia un minimo di conoscenza della scrittura analogica e delle tipologie di carta sul mercato, sono di qualità pessima), né i certamente fantastici Leuchtturm 1917. Preferisco i taccuini “stile Moleskine” prodotti dalla AmazonBasics, che costano praticamente la metà dei Moleskine di pari formato e qualitativamente valgono almeno il triplo. Il mio standard è la versione base a righe.

Setting #1 – prima pagina a destra

La prima cosa che scrivo è l’anno di riferimento (ribadito magari anche da un’etichetta esterna), alcune informazioni sul proprietario del taccuino (lo dovessi dimenticare da qualche parte), e una rapida legenda delle icone che utilizzo per denotare il testo.

Nel mio caso la legenda è semplicissima, ma potete tranquillamente usare quella standard proposta dall’autore di questo sistema, che riporto direttamente.

Nel mio caso utilizzo una versione molto semplificata di questa che vedete. Al posto del punto, uso un cerchietto, che posso barrare con una X completa nel caso di “task completato”, oppure con un segno > nel caso il task sia stato spostato altrove (concetto importantissimo nel bullet journaling). Sia gli eventi che le annotazioni, invece, recano a inizio testo un banalissimo asterisco. Questi simboli mi bastano e mi avanzano, ma è chiaro che potete aggiungere quelli che ritenete più opportuni.

Setting #2 – l’indice

Le prime due pagine (che non sono ancora vere e proprie “pagine numerate” del taccuino) vanno utilizzate come indice, ossia come riferimento per andare a trovare gli argomenti, esattamente come in un libro. Il mio consiglio è di avere di fronte le pagine sempre “a coppie”, e di iniziare da sinistra, di modo da avere sempre due pagine aperte di fronte a noi.

Insomma, per l’indice servono (le prime) due pagine (non numerate): pagina A a sinistra e pagina B a destra.

L’indice completo dovrà recare questa dicitura:

Pagine 1 – 4Year Log
/
Pagine 5 – 6
Pagine 7 – 8
Pagine 9 – 10
Pagine 11 – 12
Pagine 13 – 14
Pagine 15 – 16
Pagine 17 – 18
Pagine 19 – 20
Pagine 21 – 22
Pagine 23 – 24
Pagine 25 – 26
Pagine 27 – 28
Month Log
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprime
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
Pagine dalla 29 alla [numero]Day Log
Pagine dalla [numero+1] alla fineListe Speciali

Nota bene: Ci sono taccuini che hanno già le pagine numerate. Questo è ovviamente molto comodo, ma non essenziale, visto che le pagine si possono anche, come altrettanto ovvio, numerare a mano, oppure anche numerare solo per l’essenziale (fino alla 28, per intenderci).

Nel mio caso io numero solo le pagine fino alla 28, e le pagine successive (day log) le numero mentre le scrivo.

Siccome le liste speciali le tengo alla fine, parto dall’ultima pagina, come se avessi un secondo taccuino speculare.

Se le liste speciali cominciano a diventare tante, allora il consiglio è di provvedere a una qualche forma di numerazione delle stesse, riportata in indice.

Setting #3 – year log

Consta di quattro pagine perché su ciascuna vengono posti (in alto, in centro, e in basso) i nomi di tre mesi contigui, per esaurire l’intero anno. Quindi pagina 1 (sinistra) con gennaio, febbraio e marzo; pagina 2 (destra) con aprile, maggio e giugno; pagina 3 (sinistra) con luglio, agosto e settembre; e infine pagina 4 (destra) con ottobre, novembre e dicembre.

A cosa serve questo annual log? Semplicemente ad avere un luogo dove annotare i macro-progetti da svolgere nell’anno, con una razionale e ragionevole individuazione del mese di riferimento.

Nota bene: Questo spazio NON è assolutamente un’agenda dove segnare appuntamenti e “goal” mensili, ma solo un punto di riferimento per annotare quanto detto. L’agenda vera e propria sarà invece quella che vedremo tra un attimo nel month log.

Setting #4 – month log

Le pagine dalla 5 alla 28 (si veda tabella di prima) sono il cosiddetto month log, ossia lo spazio dove annotiamo (1) gli appuntamenti che devono essere svolti (come ovvio) esattamente in un tal giorno (salvo spostamenti) dello specifico mese (che vanno nella pagina a sinistra con numero dispari) e (2) i “goal” che devono essere raggiunti in quel mese, senza indicazione di giorno specifico (che vanno nella pagina a destra con numero pari).

IMPORTANTE – Io non sono solito annotare per filo e per segno, nella pagina di sinistra, tutti i giorni del mese, numero per numero, nome per nome. Mi sembra assurdo. Se devo annotare una data nei primi del mese, la annoto in alto, altrimenti, se la data è centrale o a fine del mese, verso il centro o verso il basso. Ho detto che è un sistema analogico, certo, ma un banale calendario (cartaceo o digitale che sia) credo che lo abbiamo tutti per vedere se un certo giorno è sabato, lunedì o domenica. Lo stesso dicasi per mesi con 28 o 31 giorni.

Setting #5 – day log

Dalla pagina 29, non si utilizza più la scansione “a quadranti” destro e sinistro. Potete tranquillamente scrivere di seguito, annotando la data del giorno e scrivendoci sotto tutti i task e le annotazioni che desiderate. Una pagina può tranquillamente contenere più giorni, perché ovviamente ci possono essere giorni in cui le annotazioni sono poche.

Setting #6 – liste speciali

Il bullet journal è ottimo per annotare liste speciali, ovviamente separate da tutto il resto, ma connesse e parallele. Le liste possono contenere qualsiasi cosa debba essere mappata nel tempo ed eseguita: l’andamento di una dieta, film e libri da acquistare, obiettivi da raggiungere senza specifico riferimento al mese dell’anno, etc…

Come si usa il BuJo

Farlo è molto più semplice di qualsiasi spiegazione. Quindi, faccio alcuni esempi:

  • Ho un appuntamento il 3 febbraio con un cliente; vado alla pagina 7, che riporta appunto gli appuntamenti da svolgere esattamente in un certo giorno del febbraio 2023, e in alto (visto che siamo i primi di febbraio) annoto un cerchietto con la data e l’ora, nonché ovviamente la descrizione dell’appuntamento. Una volta effettuato, pongo una X sul cerchietto.
  • Entro i primi di febbraio 2023 devo pagare la sosta comunale; vado alla pagina 6, che riporta le cose da fare “genericamente” nel mese di gennaio, e a fine pagina (visto che a me interessa che la cosa sia fatta entro i primi del mese dopo) annoto un cerchietto con la descrizione della cosa da fare. Una volta fatta, la spunto con una X, nel solito modo.
  • Il primo gennaio mi accorgo di aver finito il cibo del gatto; lo stesso giorno, quindi esattamente a pagina 29, sotto la data del primo gennaio, annoto un cerchietto che riporta la cosa. Se riesco a farla subito, bene, la spunto immediatamente e passo ad altro. Altrimenti, se non sono riuscito a farla il giorno stesso (cosa difficile nel mio caso, visto che la mia gatta è un ottimo promemoria… ma questa è un’altra storia) in fase di controllo giornaliero o la lascio “da fare” e la spunto (esattamente dove sta) il giorno dopo, oppure la sposto barrandola con il simbolo > ricopiandola nei task del giorno dopo, oppure altrove. (Nel mio caso preferisco lasciarla lì per barrarla il giorno dopo, visto che stiamo parlando di azioni che riguardano un intorno temporale molto limitato, ma queste sono cose legate al gusto e allo stile personale.)
  • Se entro maggio 2023 intendo cogliere i frutti di una nuova dieta, allora segno “nuova dieta” nella pagina year log contenente il mese di maggio (che è nel nostro caso la numero 2), con un opportuno cerchietto, e mi occupo di tenere traccia di questo proposito in una lista speciale a fine taccuino che intitolerò “dieta” che giornalmente controllerò, fino a spuntare il task di cui sopra.
  • Se il primo gennaio mi dicono che un mio importante cliente ha un nuovo sito, lo annoto direttamente nel day log del primo gennaio, con un asterisco. Questa informazione “tempificata” può tornarmi utile in fase di rilettura.
  • E via così…

Considerazioni finali

A cosa serve effettivamente il BuJo?

Essenzialmente, a gettare una volta per tutte i foglietti volanti pieni di annotazioni che verranno certamente perse, o peggio non saranno utili alla loro effettiva implementazione.

Nello specifico, il BuJo serve a concentrarsi organizzativamente utilizzando un solo strumento al posto di decine di strumenti disorganizzati e non connessi tra loro.

A cosa NON serve il BuJO?

Se il vostro task somiglia a una frase del tipo “conquistare il mondo”, oppure, più banalmente, “fare un avanzamento di carriera e guadagnare di più”, allora il BuJo può certamente permettervi di seguire questi “auspici” una volta trasformati in task eseguibili, ma di certo non può dirvi come trasformarli.

In altre parole, il BuJo serve a organizzare con facilità azioni per noi possibili e conosciute.

Insomma, può dirvi quando pagare una rata, ma non può dirvi come ottenere i soldi per pagarla.

Il consiglio è di separare nettamente la prassi organizzativa rappresentata dall’uso quotidiano del BuJo dall’elaborazione creativa che nel BuJo può essere certamente annotata come obiettivo, auspicio o progetto, ma deve necessariamente svilupparsi altrove, in taccuini dedicati appunto all’elaborazione e al pensiero approfondito.

Per la Scrittura in Movimento (in Italia)

Esistono dei prodotti, essenzialmente statunitensi, che qui in Europa, ma soprattutto in Italia, arrivano molto a fatica e con maggiorazioni di prezzo oggettivamente esorbitanti e proibitive. Tra questi ci sono sicuramente i taccuini della Field Notes Brand, autentici oggetti di culto per gli amanti (come me) della scrittura analogica on the go.

Tempo fa, per averne qualcuno, mi sono rivolto al mercato britannico, che solitamente acquisisce prodotti dagli States rivendendoli a un prezzo onesto, con spese di spedizioni altrettanto ragionevoli. Nello specifico, li ho acquistati dalla Nero’s Notes, che debbo dire si è distinta per l’ottimo e cordiale servizio.

Nonostante questo, mi sono chiesto: quali possono essere le valide alternative che possano efficacemente sostituire l’esatta funzione di questi notes tascabili?

Dopo aver acquistato e testato veramente molti prodotti, sono giunto alle seguenti conclusioni, che vorrei condividere con tutti i miei lettori, specie con quelli, appunto, appassionati come me di questo genere di recensioni.

Il prodotto che in assoluto più si avvicina al classico field notes a righe tinta kraft, che vedete qui in foto, è certamente il seguente:

Taccuino slim A6 a righe grigio chiaro, della Muji

Il costo è di euro 2,75. Potrebbe sembrare elevato, ma non lo è, specialmente se consideriamo che tre taccuini Field Notes vengono in USA solitamente venduti a una decina o dozzina di dollari. La dimensione è la stessa, e la carta risulta di qualità eccelsa, anzi, addirittura superiore e fountain pen friendly.

A questo punto, visto che la stessa FNB produce una penna a sfera in qualche misura “standard”, e qualche tempo fa addirittura vendeva, per i più esigenti, la celeberrima fisher space pen, ovvero la penna degli astronauti che consente di scrivere in tutte le posizioni, mi sono anche chiesto quale possa essere “da noi” la penna migliora da abbinare al notes giapponese di cui sopra.

Anche in questo caso sono giunto ad una conclusione, che potete facilmente acquistare su Amazon a un prezzo veramente competitivo:

Tomboy AirPress Pen BC-AP65-B

Ce ne sono di tantissimi colori, tutti molto accattivanti e con un pizzico di estetica “tactical” che risulta perfettamente coerente con la funzione (la mia è trasparente). La penna è anche pressurizzata, esattamente come la sua ben più costosa sorella americana fisher space.

La penna in questione ha un meccanismo “click and go” veramente perfetto e comodo, che vi permette di scrivere al volo in ogni condizione possibile, anche dal basso verso l’alto, per la meccanica di pressurizzazione dell’inchiostro caratteristica del prodotto.

Dreamy Stationery

Stamattina ho acquistato queste flash card di Amazon Basics. I vantaggi di Prime vanno sfruttati, no? Mi servono per annotare citazioni (e autocitazioni) nello stile di Austin Kleon.

Penso di dover incentivare la scrittura compulsiva, una cosa (un atteggiamento, direi) che un tempo potevo permettermi, e che ora può solo svolgersi nei ritagli. Credo che un grosso business sarebbe quello di vendere tempo di qualità a chi ne fa richiesta. Tempo, silenzio, ambiente, atmosfera…

Stanotte ho sognato un’espressione che sintetizza svariati “ambienti” (or settings, if you want) che caratterizzano spesso gli stessi miei sogni. L’espressione è: la Padova arcaica. Ora, non so se si tratti di Padova, ma spesso e volentieri io sogno degli ambienti che affondano la loro essenza in ciò che ho visto da bambino. Scorci, anfratti, giardini interni di palazzi, chiostri, vedute aeree nello stile dei vecchi documentari del servizio pubblico radiotelevisivo (lo chiamo così per distinguerlo dallo schifo attuale), e via discorrendo…

Al Lavoro su Blockchain Domain

Stamattina ho iniziato, direi finalmente, ad annotare in una modalità rigorosamente cartacea e, come dire, da studente coreano o affine, le mie monografie d’uso del Web2 e del Web3. In questo caso ho visto bene di definire il mio account “blockchain” in Unstoppable Domains.

ud.me/filippoalbertin.blockchain

Se volete contattarmi utilizzando questa tecnologia e questo specifico mio dominio, è molto semplice. Scrivetemi una mail al mio nuovo indirizzo UD-based.

filippoalbertin.blockchain@ud.me

Creatività Politicamente Scorretta

Ho “conosciuto” la creatività (seria) attorno al 1995, leggendo un libro di Edward De Bono; non per niente si intitolava Serious Creativity. In seguito a questa lettura illuminante ho sviluppato quella che a buon titolo sarebbe diventata la mia passione primaria partecipando, nei primi anni Duemila, alle ferventi attività di Createca, animata dal celebre consulente francese Hubert Jaoui.

Sono sempre stato un grafomane, scrittore e disegnatore seriale. Il contatto col mondo creativo ha semplicemente intensificato questa mia attitudine. D’altra parte, da Leonardo da Vinci a Brian Eno, non esiste processo creativo che possa svilupparsi senza un prototipo grafico, che noi creativi siamo soliti annotare rigorosamente a mano.

All’epoca andavano per la maggiore le mappe mentali di Tony Buzan. Più recentemente, le stesse sono state operativamente inglobate come caso particolare nel modello “sketchnote”, proposto da Mike Rhode.

Ciò che amo del modello sketchnote è la sua estrema semplicità, a limite della banalità (come spesso accade nelle proposte formative statunitensi, che tendono a mettere a sistema anche l’ovvio). Tuttavia ci sono alcune “tendenziali” critiche che posso muovere ai risultati finali ottenuti da questo metodo. Riflettendoci sopra, sono giunto a una conclusione: tutte queste critiche sono riassumibili nell’idea di politicamente corretto.

Le sketchnote “ben realizzate” fanno spesso leva su meccanismi mentali “facili”, ossia freschi, positivi, sorridenti, appunto politicamente corretti e riferiti a una generica e (secondo me) scolorita cultura dell’innovazione. Questa cultura parla ormai linguaggi che reputo “già pensati”, colmi di un buonismo verde e arcobaleno che arrivo a ritenere ormai, nella loro diffusione totalizzante, alla stregua di un pensiero unico.

Gli stessi esiti “aziendalistici” un tantino eccessivi in termini di entusiasmo gratuito ed energia stile integratore alimentare sono presenti anche in un altro approccio, quello di Sunni Brown, che nel suo libro The Doodle Revolution introduce la tematica grafico-creativa in termini più ampi. Tuttavia rilevo in lei una maggiore esuberanza di fondo, almeno in senso teorico, che mi solletica parecchio e dalla quale si può certamente partire per giungere a configurazioni interessanti.

Ora, a parte le basi teoriche e soprattutto operative, che vanno comunque benissimo così, credo che esattamente su questa esuberanza potenzialmente onnivora si debba fare leva per parlare di creatività all’opera.

Quindi uno dei miei progetti personali sarà questo: depurare la creatività da ogni residuo di pensiero politicamente corretto. Avremo un pubblico più esiguo? Non importa. Anzi credo sia meglio.

Sul Creare Contenuti

A vario titolo e per varie ragioni, in questo periodo mi sto interessando di creazione di contenuti; ovvero, della (fantomatica) figura del content creator.

Il contenuto e la tecnologia

Per quanto la perifrasi sia effettivamente l’ennesima — diciamocelo chiaramente — mistificazione che usa l’inglese come lasciapassare di un’originalità del tutto presunta, che nasconde certamente cose antiche e banali (dal coworking che è e rimane un banale “affitto di scrivanie” ai vari talk che altro non denotano se non “discorsi in pubblico” che si tengono dall’epoca di Cicerone esattamente nello stesso modo), il mondo attorno alla creazione di contenuti è certamente interessante.

La ragione di questo interesse è sicuramente il rapporto tra mondo fisico e mondo digitale, con uno sguardo molto attento alle tecnologie che oggi permettono di liberarsi più o meno totalmente di ogni figura intermedia tra creatore e fruitore. Parlo essenzialmente della blockchain, ossia di quel costrutto informatico che ha permesso la nascita e l’ascesa delle cryptovalute, e oggi sta alla base della rivoluzione degli NFT, token non fungibili che mimano alla perfezione il comportamento di un’opera d’arte unica e irripetibile che passa di mano in mano — di wallet in wallet — attraverso procedimenti crittografici automatizzati.

Senza tanto perdere tempo nel parlare degli altri creatori di contenuti, parlerò di me. Perché sì, io mi ritengo un creatore di contenuti, nonché un docente — versato in tecniche creative e di visual thinking (ok, questa volta ho usato io un termine inglese, ma solo per necessità di sintesi) — che ha spesso insegnato ad altri ad esserlo. Quindi, vorrei fare il punto su me stesso.

Una sorta di manifesto (valido forse solo per me)

A me capita di fare tante cose. Sono un crypto entusiasta che lavora come consulente freelance Bitcoin e Altcoin, ma adoro i film degli anni Trenta. Disegno in bianco e nero su carta, eppure adoro l’arte digitale e i suoi luminosi cromatismi a schermo. Colleziono e uso penne stilografiche di ogni tipo, ma quasi sempre scrivo a schermo. Amo il synthpop anni Ottanta che veniva veicolato da musicassette fisiche (peraltro tornate di moda), però non potrei fare a meno degli mp3. E via discorrendo.

Non ho mai amato le accozzaglie, né mai le amerò; ma di certo il rapporto tra digitale e analogico mi ha insegnato un dettaglio illuminante. Il vero e grande punto di forza del “mezzo” informatico e telematico è la capacità di veicolare con assoluta efficacia ed efficienza un mix di elementi multimediali eterogenei in una forma univoca e coerente.

L’idea deriva dalla mia lettura di Steal Like ad Artist, di Austin Kleon. Il creativo colleziona cose diverse, apparentemente conflittuali e non miscibili. La sommatoria di tutte queste, però, restituisce l’identità del creativo stesso. Quindi non bisogna tanto preoccuparsi di come verranno assemblati certi materiali. L’importante è collezionare tutto ciò che sembra significativo, scartando il resto.

Quando osservo qualcosa che mi piace, subito dopo averla collezionata (leggi, rubata) inizio subito a chiedermi con quale altra poterla remixare al fine di comunicare quel qualcosa che non posso fare a meno di comunicare.

L’arte, per me, è un remix. Non necessariamente un remix di oggetti posti sullo stesso livello. Può essere anche un remix inedito di stili applicati a un determinato soggetto, o di posizioni filosofiche, o di colori, forme, approcci, cornici, schemi.

Ma attenzione. Il mio metodo — o manifesto — non indica nel remix una sorta di “a prescindere” estetico. Al contrario, io mescolo solo se posso in qualche modo intuire un senso, una particolare efficacia.

Ultimamente, per esempio, sono affascinato da come un normalissimo post di blog — cioè un articolo — possa diventare vera e propria opera d’arte collezionabile attraverso la tecnologia dei non fungible token. Se ci pensiamo, un articolo è esattamente un remix: di immagini, testo, video, musica… Quale forma migliore per veicolare l’idea di arte che ho appena descritto?

Nella mia pagina Cent, propongo spesso opere collezionabili (quasi sempre gratis, a volte a pagamento) in forma, appunto, di articoletti con un titolo, alcune frasi e una o più immagini.

A volte remixo immagini puramente digitali. Altre volte riciclo miei disegni attraverso tecniche di rielaborazione cromatica, riproducendo effetti che altrove mi sono piaciuti.

Dal punto di vista strettamente estetico, direi che il risultato finale, nella sua varietà “riconducibile a me”, mi soddisfa. Nonostante questa soddisfazione, però, io ritengo che il ruolo di un content creator oggi come oggi non possa prescindere da qualcosa di più. Questo qualcosa in più a mio avviso somiglia molto — mi si passi la perifrasi piuttosto pindarica — all’idea di smart contract che sta alla base del funzionamento di determinate transazioni in blockchain. Ossia: ciò che noi oggi possiamo chiamare arte, o più in generale design, sia esso fatto con carta e penna, sia esso elaborato con le più articolate tecniche elettroniche di rendering tridimensionale, non può viaggiare senza un contenuto ulteriore. Questo contenuto secondo me è l’appartenenza a una community, a un pensiero comune, a una condivisione di strumenti e filosofie… Tutte cose che un NFT può veicolare in modo automatico tramite il suo meccanismo di funzionamento.

Un NFT collezionato è frutto di una transazione. Può essere una transazione in denaro (digitale), oppure un regalo fatto a fronte di un’azione. In ogni caso, lo specifico NFT posseduto dal singolo è di volta in volta biglietto, tessera annuale, amuleto, lasciapassare, chiave di sblocco funzioni all’interno di un sito, prova di fedeltà, status symbol, oggetto da apporre come avatar, e mille altre cose.

Conclusioni

L’arte digitale deve diventare strumento di comunicazione operativa, spicciola, terra terra. Abbiamo bisogno di comunità dove l’estetica possa sfumare nella tokenizzazione del tutto.

Abbiamo bisogno di diffondere una cultura di creatività capillare, a disposizione di chiunque.

Il content creator, dunque, deve diventare protagonista in un contesto completamente opposto a quello, presunto e presuntuoso, del mero testimonial, che al contrario non produce nulla di originale, ma si adegua alla dittatura dello sponsor di turno, o dell’agente, o di qualsiasi altro elemento di mediazione non alla pari.

Un vero e proprio manifesto, dunque, il mio. Che propongo a voi esattamente così, senza alcun filtro o mistificazione.