Filosofia Outliner

Ricordo che un fanatico della forma outliner era Umberto Santucci, personaggio che conobbi nei primi anni Duemila lungo la scia della mia militanza in una folta compagnia milanese di formatori e seguaci del pensiero creativo, e che so essere ancora molto attivo nel campo della consulenza. Lo trovate per esempio in un’interessante newsletter di Substack (piattaforma dove peraltro trovate anche me).

Da notare che la struttura a outliner — parliamo di OPML file come base di tutto — è anche quella che letteralmente domina tutto il software di blogging rilasciato in rete da Dave Winer, compreso quello che ospita il mio Fresh Blog (Drummer).

:star: Ebbene, ho iniziato a usar outliner come standard. Per esempio, sto utilizzando il servizio Dynalist praticamente per tutto quello che faccio: schemi, bozze di post e articoli, procedure, todo list, reference testuali e ipertestuali e ovviamente varie cose bizzarre che di solito annotavo su taccuini rigorosamente cartacei (che si accumulano a tutt’oggi in casa).

Vorrei da questo punto di vista definire uno spartiacque tra la scrittura digitale e quella analogica. Più precisamente, definire una pianificazione di rilettura delle annotazioni cartacee, da inglobare in un sistema totalmente a parte rispetto all’autonoma scrittura elettronica.

L’outliner rappresenta una sorta di snodo per implementare questa radicale separazione. Nel senso che tutto ciò che non è outliner sarà per forza di cose composition book cartaceo.

Vi farò sapere se il sistema funziona…

Come Uso Obsidian

Da qualche giorno sto usando Obsidian come strumento organizzativo dell’informazione. Si tratta, in sostanza, di un text editor a base markdown, che ha efficacemente sostituito tutte le app che utilizzavo prima (intendiamoci, non perché pezzi di software come Ghostwriter o Apostrophe fossero inefficienti, anzi…), diventando una sorta di standard sia per la creazione di testi complessi nel suddetto sistema di tagging, sia per la loro organizzazione automatizzata in forma di wiki.

Il funzionamento è particolarmente lineare e intuitivo, e fa riferimento a una sorta di intersezione tra due entità funzionali:

  1. Una banalissima cartella del vostro computer, contenente tutti i file di testo in formato markdown (MD) che vengono generati dal sistema.
  2. L’applicazione stessa, che funge da visore automatizzato e crea automaticamente i file nella cartella di riferimento, organizzandoli come all’interno di un grande sistema ipertestuale.

Il sistema mi permette di gestire soprattutto la complessità oltre una certa soglia di articolazione. Ossia, quando l’informazione diventa effettivamente articolata e quantitativamente rilevante, serve un sistema per gestirla mantenendo un elevato grado di ergonomia e semplicità.

Come credo ovvio, la presenza di una sola cartella — che al limite può essere aggiornata in un cloud con procedure parallele, utilizzando numerosi servizi sul mercato (basti pensare a Dropbox) — rende il backup incredibilmente intuitivo: l’intera cartella, zippata o meno, può essere agevolmente salvata in una memoria esterna, o addirittura restarci di default ed essere utilizzata in presa diretta dall’applicazione.

Il sistema si sta rivelando prezioso per dare una scansione razionale alle mie attività nel web, soprattutto come creatore di contenuti (che espressione orribile), ma anche come collezionista di informazione molto, molto eterogenea. La forma testuale, ovvero ipertestuale, rimane a mio avviso la migliore. Il sistema markdown, che vi invito a imparare, è poi a dir poco perfetto, sia per velocità che per comodità, e diventa abbastanza rapidamente una specie di standard applicabile a qualsiasi scritto licenziabile nel web.

Insomma, ve lo consiglio caldamente.

Frammenti Ispirativi

La mia generazione è un remix di elementi indubbiamente analogici, ripensati in digitale. Pur restando un analogico per vocazione, è fuori discussione quanto determinati software possano semplificare – magari un po’ freddamente rispetto alle “scatole creative” di Twyla Tharp, ma efficacemente – alcuni processi creativi.

Ebbene, per qualsiasi professione abbia un minimo a che fare con aspetti compositivi – arte in genere, certo, scrittura, musica, scripting per la radio e la televisione o addirittura il cinema, ma anche e direi a profusione design di processo e prodotto, architettura, conduzione di team, facilitazione d’aula, e chi più ne ha più ne metta, consiglio vivamente questo software online chiamato Milanote. Eccone un esempio d’uso, tratto da una cosa che tempo fa mi fu co-commissionata. L’intero software ragiona nella modalità lavagne che contengono lavagne ed elementi che stanno dentro una lavagna. Tali lavagne, oltre ad altre lavagne (che a loro volta contengono appunto lavagne, secondo una logica ricorsiva), possono contenere immagini, annotazioni, colonne di elementi, grafici, testi, documenti, link, pantoni (nel caso di design avente a che fare con specifici colori), video, mappe territoriali, etc…

Qui vedete una minuscola lavagna grado zero, dove ho semplificato alcune ispirazioni generali per una storia.

Usi Creativi delle Storie (in Signal)

Nel mondo degli instant messenger, dopo WhatsApp e Telegram, il primo nome che poteva venirmi in mente è certamente Signal, la cui diffusione è purtroppo inversamente proporzionale al grande valore in tema di sicurezza e privacy.

A distanza di qualche tempo l’ho ripreso in mano, e ho visto che hanno inserito anche le storie. Quelle stesse, frivole ed effimere storie che dallo storico Snapchat che le ha coniate hanno conquistato tutti: Facebook, Instagram, lo stesso WhatsApp, e ora appunto Signal.

Da qui una domanda. Visto che Signal è un’applicazione (passatemi il termine) seria, è possibile usare in modo serio anche lo “strumento” delle storie?

Innanzitutto, cosa sono le storie? Banalmente, sono contenuti multimediali costituiti da vari remix di testo, immagini, suoni e video, che compaiono nelle nostre bacheche, e risultano a disposizione del pubblico col quale abbiamo deciso di condividerle per sole 24 ore. Questo specifico aspetto costituisce la loro caratteristica precipua: sono messaggi che definitiva si autodistruggono, come le comunicazioni segrete, ma in un tempo abbastanza congruo alla loro fruizione da parte di un pubblico potenzialmente vasto.

Ma a cosa servono le storie?

Qui le cose si fanno leggermente più complicate. Le storie, a rigore, dovrebbero essere dei contenuti in linea con la natura fortemente transeunte del web, specie rappresentato dal microblogging in genere. Non è infatti difficile convincersi del fatto che un banale post di twitter, a differenza di quanto accade nei blog classici e a maggior ragione nei siti statici, ben difficilmente sarà rivisto e ripreso a distanza di tempo.

Quindi, in sostanza, le storie — lasciando da parte la possibilità manuale di scaricarle e conservarle — sono contenuti che pretendono dal pubblico un’attenzione forte, ma momentanea. (E io aggiungo: Sarà poi il pubblico stesso a ricordare questo o quello a seconda dell’importanza…)

Sulla scorta di questa idea di fondo, a cosa possono servire le storie, nello specifico quelle (veramente ben fatte) coniabili con Signal?

Imponendolo come standard per la comunicazione tra colleghi, secondo me le storie possono essere un ottimo strumento di sincronizzazione e condivisione, mediato dalla necessità di dedicare una certa attenzione al team stesso.

Sulla base di questa intuizione di base, le applicazioni possono essere infinite.

A Post to Apostrophe

Apostrophe è un fantastico text editor che può essere usato per scrivere in markdown. Le sue caratteristiche lo rendono estremamente adatto per la scrittura dedicata al web, in linea con la natura ipertestuale di questo particolare sistema di tagging. Io adoro utilizzarlo per quei post che virano verso la cosiddetta longform, ovvero tendono a strutturarsi come articoli piuttosto lunghi e articolati, specie dal punto di vista meramente testuale, prima ancora che multimediale.

Ve lo consiglio caldamente.