Come Uso Obsidian

Da qualche giorno sto usando Obsidian come strumento organizzativo dell’informazione. Si tratta, in sostanza, di un text editor a base markdown, che ha efficacemente sostituito tutte le app che utilizzavo prima (intendiamoci, non perché pezzi di software come Ghostwriter o Apostrophe fossero inefficienti, anzi…), diventando una sorta di standard sia per la creazione di testi complessi nel suddetto sistema di tagging, sia per la loro organizzazione automatizzata in forma di wiki.

Il funzionamento è particolarmente lineare e intuitivo, e fa riferimento a una sorta di intersezione tra due entità funzionali:

  1. Una banalissima cartella del vostro computer, contenente tutti i file di testo in formato markdown (MD) che vengono generati dal sistema.
  2. L’applicazione stessa, che funge da visore automatizzato e crea automaticamente i file nella cartella di riferimento, organizzandoli come all’interno di un grande sistema ipertestuale.

Il sistema mi permette di gestire soprattutto la complessità oltre una certa soglia di articolazione. Ossia, quando l’informazione diventa effettivamente articolata e quantitativamente rilevante, serve un sistema per gestirla mantenendo un elevato grado di ergonomia e semplicità.

Come credo ovvio, la presenza di una sola cartella — che al limite può essere aggiornata in un cloud con procedure parallele, utilizzando numerosi servizi sul mercato (basti pensare a Dropbox) — rende il backup incredibilmente intuitivo: l’intera cartella, zippata o meno, può essere agevolmente salvata in una memoria esterna, o addirittura restarci di default ed essere utilizzata in presa diretta dall’applicazione.

Il sistema si sta rivelando prezioso per dare una scansione razionale alle mie attività nel web, soprattutto come creatore di contenuti (che espressione orribile), ma anche come collezionista di informazione molto, molto eterogenea. La forma testuale, ovvero ipertestuale, rimane a mio avviso la migliore. Il sistema markdown, che vi invito a imparare, è poi a dir poco perfetto, sia per velocità che per comodità, e diventa abbastanza rapidamente una specie di standard applicabile a qualsiasi scritto licenziabile nel web.

Insomma, ve lo consiglio caldamente.

Ritorno a Endeavour OS

Sono tornato a Endeavour OS, piuttosto entusiasticamente. Ho scelto, come sempre, il flavour GNOME, che grazie alla sublime architettura Arch-based è perfettamente aggiornato.

Tuttavia, come sempre, ho optato per una personalizzazione del desktop a base di estetiche personali. Mi piace aver individuato questo wallpaper, che mi ricorda certe illustrazioni pop della metà anni Ottanta.

Credo che questa configurazione possa essere considerata un mio standard.

Merlino, Berio e l’Intelligenza Artificiale

Questo che vedete ovviamente non è Merlino, il mio soriano. Tuttavia vi posso assicurare che questa immagine generata dall’intelligenza artificiale — nello specifico l’ultimo protocollo propostomi da Google Gemini — riproduce in modo sconcertante l’espressione reale del mio gatto. I colori sono leggermente diversi (Merlino è decisamente più grigio, e gli occhi sono verdi, non ambrati), ma io non avevo dato alcuna indicazione cromatica, quindi è chiaro che l’elaboratore algoritmico ha proposto una sorta di media pesata dei colori dei gatti soriani, producendo l’immagine che vedete.

Merlino, la versione reale…

Ora, io sono e continuo ad essere fortemente scettico rispetto all’idea che l’intelligenza artificiale possa dare risultati in campo artistico in senso stretto. Chi pensa che l’arte possa essere creata da un computer, banalmente, non sa cosa sia l’arte, e non conosce neppure la teoria economica della scarsità, secondo la quale è evidente che un oggetto unico non può essere per definizione creato da meccanismi di rimescolamento automatizzato di percezioni “medie”, che (anche in questo caso, per definizione) non sono e non possono essere artistiche.

Tuttavia è anche vero che molta arte autentica e difendibile come tale è stata, nella storia recente, tranquillamente mediata dal mezzo informatico, inteso non già come frullatore capace solo di mescolare ingredienti eterogenei per ottenere un’opera definibile come finita e completa, ma come strumento in grado di ottenere determinati risultati, a loro volta spendibili nel classico processo di creazione, composizione ed elaborazione artistica.

Cosa potrebbe accadere, per esempio, se io utilizzassi lo strumento di cui sopra per mettere in difficoltà lo stesso algoritmo, forzandolo per dirottare la sua attenzione cibernetica in luoghi inediti, scomodi, sdrucciolevoli e ambigui?

Ho provato a chiedere a Gemini di illustrarmi, attraverso un quadro astratto, le sensazioni derivanti dall’ascolto di un brano come Bewegung, composto nei primi anni Settanta dal compositore italiano Luciano Berio. Il risultato è stato questo, e a mio avviso è molto, molto interessante.

Ora, intendiamoci, io non so se questa reazione dell’algoritmo sia legata a istruzioni standard, che andrebbero a produrre circa lo stesso risultato per qualsiasi richiesta di astrazione. Tuttavia, il quadro esiste, ed esiste nella sua secondo me innegabile capacità di suscitare domande.

L’Oriente e l’Occidente di Bitcoin: una Confutazione

In questa (peraltro molto bella e documentata) lezione presso il Politecnico di Torino tenuta da Rikki, nome “d’arte” di uno dei più noti commentatori in tema di Bitcoin nel rapporto ormai molto stretto con le economie dei paesi in via di sviluppo, si descrivono dinamiche molto precise e documentate, che illustrano certamente, e con eloquenza, un mondo molto diverso dal nostro.

Nel contempo, concentrandosi sulla materia dei cosiddetti “unbanked”, Rikki descrive tesi estremamente condivisibili – sia locali, che sul ruolo certamente “complice” delle economie avanzate – la cui portata incorre però in un grossolano errore quando si tratta di estendere le motivazioni circa l’uso del satoshi nelle NOSTRE economie occidentali.

In sostanza, l’errore sta in questo…

Come effettivamente accade, in Nigeria o in altre economie letteralmente devastate dall’inflazione e dalla corruzione politica, essere “unbanked”, o scontare comunque gli effetti economici di quanto detto, è una condizione comunque vissuta da individui che VORREBBERO essere “banked”, ma per una serie di ragioni contingenti non possono esserlo. Ecco dunque che Bitcoin diventa una salvezza, una necessità, ovvero, in altri termini, una scelta obbligata.

La questione della potenziale censura bancaria nelle economie e nei sistemi occidentali non è assolutamente una buona motivazione, in quanto, al contrario di ciò che accade nelle economie terzomondiste, noi VORREMMO essere “unbanked”, ma non possiamo permetterci il LUSSO di esserlo, ovvero di NON essere “banked”, in quanto la struttura stessa della nostra economia individua una meccanica d’uso di Bitcoin che è solo una: quella del piano d’acquisto costante, ossia di una “messa al riparo” dei nostri risparmi attraverso il cambio in satoshi di quel residuo di flusso periodico di intoiti RIGOROSAMENTE IN MONETA FIAT che chiamiamo stipendio, o reddito, o guadagno.

In altre parole, c’è poco da fare: senza la fiat money, qui da noi non esisterebbe neppure un solo “utente” Bitcoin (o bitcoiner), visto che i satoshi, da noi, possono essere al 99% solo COMPRATI e (al limite) spesi dopo una corposa rivalutazione nel medio-lungo termine.

Detta in altri termini, da noi non esiste un’economia “in” Bitcoin, visto che i Bitcoin li compriamo – e (statistiche alla mano) per un buon 85% – li teniamo assolutamente fermi nei nostri wallet, preferendo come ovvio spendere (gettare, bruciare) la fiat money per le spese correnti e il corrente accantonamento spicciolo per gli esborsi fissi (manutenzioni, mutui, rate varie, bollette, utenze mobili, etc…).

La “protezione” a cui allude Rikki può essere al limite riferita a un fondo in BTC di riserva, ma quel fondo è alimentato comunque da un meccanismo che nove su dieci transita attraverso un conto corrente, o carta di debito-credito: tutti presidi centralizzati che ANCHE VOLENDO NON POSSIAMO NON AVERE A DISPOSIZIONE. E la mano del censore li può colpire senza problemi.

Riassumendo, la nostra economia vive una sorta di sindrome della parzialità. Bitcoin molto difficilmente può essere guadagnato nativamente, in quanto il generico utente (esercente) di tale accettazione da un lato non ha prodotti appetibili che possano scontrarsi col mercati vigente (contrariamente ai mercati terzomondisti, dove anche un cellulare GSM usato può essere un prodotto appetibile), e dall’altro lato non può contare su un target di potenziali acquirenti che siano (1) esperti di Bitcoin, (2) dotati di Bitcoin e (3) disposti a spendere Bitcoin. La pazialità è quella che, di fatto, confina Bitcoin nell’alveo della “riserva di valore”, e in larghissima misura lo esclude da quello del “mezzo di scambio”, necessario per la definizione di una vera e propria moneta.

La sintesi appare dunque semplicissima: da noi essere unbanked è un processo antieconomico, oltre che sostanzialmente impossibile, in quanto non esiste un’economia che renda fattibile e conveniente l’essere pagati in BTC, prima ancora che lo spendere BTC.

Canale Telegram e Varie Cosette

Ho aperto un canale Telegram, usufruendo di questa nuova modalità di (passatemi l’espressione) “supporto creatori” a base di bot intelligenti, stelle (il nuovo token integrato nell’ecosistema) e vari giochini orbitanti attorno all’ecosistema Toncoin e limitrofi.

Phil Palm Beach

Il funzionamento delle stelle, in sostanza la moneta da usare per acquistare questo e quello nell’ecosistema Telegram, è molto semplice, e ne parlerò più avanti, anche se vi consiglio di dare uno sguardo a questo articolo.

Telegram Stars: Pay for Digital Goods and More

L’idea, nel mio caso, ha valore puramente sperimentale. Non mi ritengo un autore classificabile come “creator”, termine che ritengo più sensato come etichetta che per ragioni effettivamente semantiche e proprie. Peraltro, non mi sembra neppure di notare chissà che esplosione di questa tanto agognata economia dei creatori, oggi ancora rappresentata dal mainstream a base esclusivamente pubblicitaria, di certo anni luce lontana dalla possibilità di un rapporto economico diretto che possa sostenere un qualsivoglia autore al di fuori di logiche editoriali classiche.

Tuttavia, ci si prova. Ovvero, è possibile generare contenuti che possano risultare sensati pure in questa logica.

Il funzionamento è in realtà molto più semplice di quanto si possa credere. Lasciando da parte l’opzione di un abbonamento al canale o di una donazione per permettermi di fare sempre di più e sempre meglio, in termini di singolo item funziona così: io pubblico un contenuto particolare che a vario titolo giustifica l’essere a pagamento (il prezzo è espresso appunto in stelle), voi lo acquisite attraverso G-pay o Apple-pay (quindi normalissime carte di debito o credito) tramite acquisto di minime pezzature di stelle, che automaticamente si aggiungono al vostro wallet (no, non è il wallet TON, ma un wallet separato fatto solo di stelle) e vengono ovviamente scalate per il costo dell’item stesso. Le stelle rimanenti, come logico, possono essere utilizzate per altri acquisti.

Si tratta in sostanza di un prepagato in stelle per acquisti beni digitali. La vera questione è capire che senso possa avere un bene digitale acquistato. Nel caso di un ebook o di un video, la cosa può giustificarsi. In questo senso la mia unica domanda è che tipo di qualità possa essere veicolata da un contenuto “non mainstream” che in questa particolare topologia interpretativa risulterebbe collocarsi a mezza via tra la gratuità dei già ottimi contenuti di YouTube e la non gratuità di servizi come Netflix o affini. Insomma, a me pare che si stia parlando di un’intersezione vuota, a meno che io non sia una ragazza suadente (non lo sono) che voglia distribuire materiali audiovisivi espliciti stile OnlyFans, oppure che l’intera faccenda vada a veicolare l’acquisto di voucher per il ritiro di cannabis o altre droghe illegali.

Una bella sfida creativa, insomma. A riprova di questo basti dire che non ho traccia di creatori che stiano utilizzando questo sistema per vendere efficacemente loro contenuti (nemmeno una simil-onlyfanser come quelle che ho di sfuggita citato).

In ogni caso, fateci un salto…

Frammenti Ispirativi

La mia generazione è un remix di elementi indubbiamente analogici, ripensati in digitale. Pur restando un analogico per vocazione, è fuori discussione quanto determinati software possano semplificare – magari un po’ freddamente rispetto alle “scatole creative” di Twyla Tharp, ma efficacemente – alcuni processi creativi.

Ebbene, per qualsiasi professione abbia un minimo a che fare con aspetti compositivi – arte in genere, certo, scrittura, musica, scripting per la radio e la televisione o addirittura il cinema, ma anche e direi a profusione design di processo e prodotto, architettura, conduzione di team, facilitazione d’aula, e chi più ne ha più ne metta, consiglio vivamente questo software online chiamato Milanote. Eccone un esempio d’uso, tratto da una cosa che tempo fa mi fu co-commissionata. L’intero software ragiona nella modalità lavagne che contengono lavagne ed elementi che stanno dentro una lavagna. Tali lavagne, oltre ad altre lavagne (che a loro volta contengono appunto lavagne, secondo una logica ricorsiva), possono contenere immagini, annotazioni, colonne di elementi, grafici, testi, documenti, link, pantoni (nel caso di design avente a che fare con specifici colori), video, mappe territoriali, etc…

Qui vedete una minuscola lavagna grado zero, dove ho semplificato alcune ispirazioni generali per una storia.

Sguardi Generazionali e Hacking

Su Amazon Prime ci siamo visti Wargames (1983). Film interessante, che ha la bellezza di quarant’anni esatti e parla di argomenti ancora attuali. A proposito di attacchi hacker, credo sappiate che mi occupo professionalmente anche di questo. Dai uno sguardo alla nostra CALL TO ACTION! A me piace molto. Sintetica, semplice, diretta, un po’ old style come piace a noi della Generation X.

A proposito di cose generazionali, il mio amico Marco Crotta, noto guru della cryptosfera, ha espresso un’opinione molto interessante su questa pellicola.