Oggi ho dedicato ben tre NFT all’artista statunitense La Monte Young. Non so perché. Sta di fatto che mi piace pensare a queste tre mie opere che viaggiano lungo la rete decentralizzata, collezionate da decine e decine di individui.
La prima rappresenta una sorta di pittura astratta. La seconda ha un carattere altrettanto astratto, ma più elettronico, schematico, da intelligenza artificiale o metodo matematico. La terza ha un carattere più “spazialista”, per certi versi il più affine al compositore. Tutte fanno riferimento al concetto di “dream house”, un luogo dove affinare i sensi per la fruizione di opere quali appunto quelle del nostro.
A vario titolo e per varie ragioni, in questo periodo mi sto interessando di creazione di contenuti; ovvero, della (fantomatica) figura del content creator.
Il contenuto e la tecnologia
Per quanto la perifrasi sia effettivamente l’ennesima — diciamocelo chiaramente — mistificazione che usa l’inglese come lasciapassare di un’originalità del tutto presunta, che nasconde certamente cose antiche e banali (dal coworking che è e rimane un banale “affitto di scrivanie” ai vari talk che altro non denotano se non “discorsi in pubblico” che si tengono dall’epoca di Cicerone esattamente nello stesso modo), il mondo attorno alla creazione di contenuti è certamente interessante.
La ragione di questo interesse è sicuramente il rapporto tra mondo fisico e mondo digitale, con uno sguardo molto attento alle tecnologie che oggi permettono di liberarsi più o meno totalmente di ogni figura intermedia tra creatore e fruitore. Parlo essenzialmente della blockchain, ossia di quel costrutto informatico che ha permesso la nascita e l’ascesa delle cryptovalute, e oggi sta alla base della rivoluzione degli NFT, token non fungibili che mimano alla perfezione il comportamento di un’opera d’arte unica e irripetibile che passa di mano in mano — di wallet in wallet — attraverso procedimenti crittografici automatizzati.
Senza tanto perdere tempo nel parlare degli altri creatori di contenuti, parlerò di me. Perché sì, io mi ritengo un creatore di contenuti, nonché un docente — versato in tecniche creative e di visual thinking (ok, questa volta ho usato io un termine inglese, ma solo per necessità di sintesi) — che ha spesso insegnato ad altri ad esserlo. Quindi, vorrei fare il punto su me stesso.
Una sorta di manifesto (valido forse solo per me)
A me capita di fare tante cose. Sono un crypto entusiasta che lavora come consulente freelance Bitcoin e Altcoin, ma adoro i film degli anni Trenta. Disegno in bianco e nero su carta, eppure adoro l’arte digitale e i suoi luminosi cromatismi a schermo. Colleziono e uso penne stilografiche di ogni tipo, ma quasi sempre scrivo a schermo. Amo il synthpop anni Ottanta che veniva veicolato da musicassette fisiche (peraltro tornate di moda), però non potrei fare a meno degli mp3. E via discorrendo.
Non ho mai amato le accozzaglie, né mai le amerò; ma di certo il rapporto tra digitale e analogico mi ha insegnato un dettaglio illuminante. Il vero e grande punto di forza del “mezzo” informatico e telematico è la capacità di veicolare con assoluta efficacia ed efficienza un mix di elementi multimediali eterogenei in una forma univoca e coerente.
L’idea deriva dalla mia lettura di Steal Like ad Artist, di Austin Kleon. Il creativo colleziona cose diverse, apparentemente conflittuali e non miscibili. La sommatoria di tutte queste, però, restituisce l’identità del creativo stesso. Quindi non bisogna tanto preoccuparsi di come verranno assemblati certi materiali. L’importante è collezionare tutto ciò che sembra significativo, scartando il resto.
Quando osservo qualcosa che mi piace, subito dopo averla collezionata (leggi, rubata) inizio subito a chiedermi con quale altra poterla remixare al fine di comunicare quel qualcosa che non posso fare a meno di comunicare.
L’arte, per me, è un remix. Non necessariamente un remix di oggetti posti sullo stesso livello. Può essere anche un remix inedito di stili applicati a un determinato soggetto, o di posizioni filosofiche, o di colori, forme, approcci, cornici, schemi.
Ma attenzione. Il mio metodo — o manifesto — non indica nel remix una sorta di “a prescindere” estetico. Al contrario, io mescolo solo se posso in qualche modo intuire un senso, una particolare efficacia.
Ultimamente, per esempio, sono affascinato da come un normalissimo post di blog — cioè un articolo — possa diventare vera e propria opera d’arte collezionabile attraverso la tecnologia dei non fungible token. Se ci pensiamo, un articolo è esattamente un remix: di immagini, testo, video, musica… Quale forma migliore per veicolare l’idea di arte che ho appena descritto?
Nella mia pagina Cent, propongo spesso opere collezionabili (quasi sempre gratis, a volte a pagamento) in forma, appunto, di articoletti con un titolo, alcune frasi e una o più immagini.
A volte remixo immagini puramente digitali. Altre volte riciclo miei disegni attraverso tecniche di rielaborazione cromatica, riproducendo effetti che altrove mi sono piaciuti.
Dal punto di vista strettamente estetico, direi che il risultato finale, nella sua varietà “riconducibile a me”, mi soddisfa. Nonostante questa soddisfazione, però, io ritengo che il ruolo di un content creator oggi come oggi non possa prescindere da qualcosa di più. Questo qualcosa in più a mio avviso somiglia molto — mi si passi la perifrasi piuttosto pindarica — all’idea di smart contract che sta alla base del funzionamento di determinate transazioni in blockchain. Ossia: ciò che noi oggi possiamo chiamare arte, o più in generale design, sia esso fatto con carta e penna, sia esso elaborato con le più articolate tecniche elettroniche di rendering tridimensionale, non può viaggiare senza un contenuto ulteriore. Questo contenuto secondo me è l’appartenenza a una community, a un pensiero comune, a una condivisione di strumenti e filosofie… Tutte cose che un NFT può veicolare in modo automatico tramite il suo meccanismo di funzionamento.
Un NFT collezionato è frutto di una transazione. Può essere una transazione in denaro (digitale), oppure un regalo fatto a fronte di un’azione. In ogni caso, lo specifico NFT posseduto dal singolo è di volta in volta biglietto, tessera annuale, amuleto, lasciapassare, chiave di sblocco funzioni all’interno di un sito, prova di fedeltà, status symbol, oggetto da apporre come avatar, e mille altre cose.
Conclusioni
L’arte digitale deve diventare strumento di comunicazione operativa, spicciola, terra terra. Abbiamo bisogno di comunità dove l’estetica possa sfumare nella tokenizzazione del tutto.
Abbiamo bisogno di diffondere una cultura di creatività capillare, a disposizione di chiunque.
Il content creator, dunque, deve diventare protagonista in un contesto completamente opposto a quello, presunto e presuntuoso, del mero testimonial, che al contrario non produce nulla di originale, ma si adegua alla dittatura dello sponsor di turno, o dell’agente, o di qualsiasi altro elemento di mediazione non alla pari.
Un vero e proprio manifesto, dunque, il mio. Che propongo a voi esattamente così, senza alcun filtro o mistificazione.
In questo mio articolo su Sigle parlo sinteticamente di centralizzazione e decentralizzazione, citando anche questo mio blog nella Vivaldi Community. La questione è importante, oltre che interessante.
Il mio “profilo blockchain” è ora “umanizzato” attraverso una procedura di KYC. Ebbene, trovo importante questo dettaglio. Il Web2 è pieno di fake, di profili del tutto inattendibili, di scam, e chi più ne ha più ne metta.
La cosa interessante è che potete contattarmi anche attraverso il medesimo servizio decentralizzato, alla seguente mail:
Da qualche tempo a questa parte mi sto letteralmente sbizzarrendo nel campo degli NFT. Sulla scia di questo mio entusiasmo, mediato ovviamente da specifiche competenze professionali in ambito crypto e blockchain, ho creato vari siti, tra cui una pagina personale con la bellissima piattaforma Cent.
La “serie” sulla quale mi sono concentrato si intitola IPSEMIXIT, e allude all’esprimere opinioni (ipse dixit) e al mixare colori e forme. Il risultato sono dei quadri multimediali di testo e immagini, prodotti in tirature limitate, che giocano col mio volto proponendo di volta in volta combinazioni nuove, tutte collezionabili.
Devo dire che la collezione sta avendo un certo successo. Moltissimi esemplari risultano già completamente esauriti, con mia estrema soddisfazione.
Da notare che Cent permette anche di scrivere articoli, in uno spazio a parte di cui ovviamente ho approfittato.
La valuta digitale Monero rappresenta certamente un must nella dotazione di chiunque voglia utilizzare la cryptomoneta nelle transazioni economiche. La parola d’ordine in questo caso è una e una sola: privacy.
La cosa interessante è che, a parte l’acquisto diretto, il cambio in e da bitcoin è semplicissimo. Ci sono exchange diretti che eseguono egregiamente questa mansione. (Per informazioni, però, scrivetemi in privato alla mail albertin@tuta.io e vi risponderò direttamente.)
Uno dei più gettonati wallet mobile è Cake Wallet. Ve lo consiglio caldamente anch’io, in quanto presenta funzioni estremamente comode per la gestione dei monero.
A grandi linee, volendo a tutti i costi collocare politicamente la rivoluzione decentralizzata delle cryptomonete, c’è da dire che la prima posizione che viene in mente è quella dell’anarchia; ovvero, per essere più precisi, della piena automazione dei processi di transazione tra singoli individui, che dunque avvengono senza che alcuna parte intermedia possa intervenire come entità di regolazione o censura.
Siamo dunque al cospetto del caos? No, assolutamente no. Siamo invece al cospetto della responsabilità personale come unico valore in grado di dare sensatezza e operatività alla fiducia.
Apostrophe è un fantastico text editor che può essere usato per scrivere in markdown. Le sue caratteristiche lo rendono estremamente adatto per la scrittura dedicata al web, in linea con la natura ipertestuale di questo particolare sistema di tagging. Io adoro utilizzarlo per quei post che virano verso la cosiddetta longform, ovvero tendono a strutturarsi come articoli piuttosto lunghi e articolati, specie dal punto di vista meramente testuale, prima ancora che multimediale.