Un Post per Tutti e per Nessuno

Per me bloggare significa disseminare enigmi spazzatura che nessuno può decifrare. Ha a che fare con la logica discordiana. L’ipertesto è la sua arma: una spiegazione che rimanda ad libitum ad altre spiegazioni; un’indagine che — un po’ come nelle telenovelas — propone una versione e poi la getta alle ortiche, per ricominciare il gioco di affabulazione che è la rappresentazione. In questo labirinto, ovviamente, dissemino anche inviti, eventi, occasioni che sta al lettore cogliere. Faccio autopromozione assemblando cose, insomma.

Una semplicissima citazione di istruzioni che stanno altrove, attraverso collegamenti vari. Dico cose che solo io posso capire. Se poi le capisce anche il lettore, meglio per lui.

Nuovo Compendio Web

Credo sia giunto il momento di scrivere un compendio di tutti i miei luoghi nel web, visto che ormai sono tanti, e un po’ di ordine serve soprattutto a me per capire in che direzione usarli.

www.filippoalbertin.eu — Partiamo dal mio sito ufficiale, dove a rigore posterò veramente un po’ di tutto, esattamente come si fa per un blog generalista personale. Dalle esperienze lavorative alla quotidianità, insomma.

A latere: Da notare che scrivo ogni tanto anche in un cosiddetto tumblelog, sorta di blog ibridato con un microblog, nella ben nota piattaforma Tumblr.

Un tocco di mainstream — Il mio account Twitter/X rimane certamente un punto di riferimento, non fosse altro per i tanti follower che nel tempo hanno deciso di seguirmi. Da un punto di vista strettamente quantitativo, questo è il posto dove scrivo di più. La prima derivata in forma di blog relativa all’universo Twitter è certamente il mio account Medium, dove ho anche una sorta di magazine aperiodico che si chiama Nakamotas. In tutta questa zona mi occupo anche di questioni più direttamente connesse al mio lavoro di consulente finanziario esperto di asset digitali e fintech.

Fediversi — Su Mastodon “Social”, l’istanza forse più celebre di questa nota piattaforma, ho un account dove parlo in libertà un po’ di tutto. La stessa tipologia d’uso la dedico a Bluesky, con la sola differenza che uso questo social più che altro in mobilità.

Su Instagram mi trovate come filippoalbertin75.

Per contattarmi le opzioni sono varie:

Posta di lavoro: filippo [chiocciola] bitcoinvenetocenter.it

Posta personale: info [chiocciola] filippoalbertin.eu

Posta ultra-mainstream: filippoalbertin [chiocciola] gmail.com

Posta riservata: albertin [chiocciola] tuta.io

Microblogging e Interrogativi

Ho espresso alcune considerazione sul recente scontro (per quanto implicito) tra piattaforme emergenti di microblogging. Parlo chiaramente di Threads e di Bluesky.

Tra i due, preferisco Bluesky. Lo preferisco in quanto ritorna certamente al microblogging delle origini, con caratteri limitati e senza fronzoli. Una semplice applicazione per esprimere guizzi, appunti pubblici, momenti, istantanee, appunto cinguettii, il tutto in modo libero e senza la pretesa dell’esaustività o del generare traffico a tutti i costi.

Paradossalmente, la scelta di Bluesky rende ancora più specifico l’uso concreto del parallelo fediverso, chiaramente rappresentato dalle istanze di Mastodon. Già 500 caratteri sono tanti, tantissimi, e quasi mimano una sorta di “post breve”, che in certi casi può spingersi a livelli molto più alti, come gli stessi 1337 caratteri disponibili proprio nel Mastodon di Vivaldi Social Community. Una configurazione che suscita una domanda: in Mastodon possiamo ancora parlare di microblogging, oppure di blogging breve?

Primo Gennaio Autodivinatorio

Sono stato quasi tutte le vacanze natalizie chiuso in casa. Il cielo di Acquapendente ha avuto qualche sprazzo soleggiato, che abbiamo sfruttato per due aperitivi in piazza. Per il resto, pioggia e grigiume, come ora davanti alla finestra. Rami secchi, uccellini, e i suoni tipici della vegetazione carica di fredda umidità.

Il primo dell’anno è sempre, per tutti, per troppi, un richiamo a chissà quale cambiamento nella propria esistenza. Ebbene, io credo che la prospettiva sia troppo ampia. L’anno cambia, ma è ovvio che noi restiamo quelli che siamo, e che la nostra evoluzione può solo definirsi lungo la scia della tenacia giornaliera, per non dire ora per ora, minuto per minuto.

Tuttavia mi piace immaginare una nuova attenzione in grado di veicolare certi cambiamenti. Il passaggio annuale è in questo senso un’occasione stimolante, non ci sono dubbi.

Ho deciso, per esempio, di razionalizzare alcuni miei luoghi nel web, primo fra tutti Instagram, che a mio avviso dovrebbe servire a scopi più orientati e meno casuali e autoreferenziali. Interessante per esempio l’uso delle “storie”, che possono essere trasformate in immagini e utilizzate altrove.

https://social.vivaldi.net/@creativephil/111679445339609696
Utilizzo il mio Mastodon Vivaldi Social come luogo dove annotare pubblicamente quello che faccio in senso creativo. Nello specifico, queste carte colorate mi stimolano. Voglio inserirle qui, collezionarle, usarle…

Scrittura e Telescrittura: una sorta di Manifesto

Spesso, per non dire quasi sempre, mi capita di pensare al passato, al mio passato di bambino e adolescente durante tutti gli anni Ottanta e buona parte del decennio successivo. Nel pensarci, le considerazioni più ricorrenti si accompagnano a un senso di disagio nel percepire la radicale differenza tra quel mondo e il nostro mondo. Una differenza che, attenzione, non riguarda minimamente il “tempo perduto” di quelli che per ovvie ragioni, per me come per chiunque, sono anagraficamente gli anni della giovinezza confrontati con quelli della piena maturità, ma all’opposto allude propriamente a un radicale, concreto, oggettivo mutamento nella ritmica di vita, nel rapporto con la società, per non parlare di variabili come cultura, politica, ideologia ed estetica, che ritengo ormai quasi totalmente deteriorate.

In altre parole, rifletto sempre più frequentemente sulle caratteristiche che costituiscono in modo più lampante la differenza tra quei tempi e i nostri, ponendomi in fondo sempre le stesse domande. Cosa è cambiato effettivamente? Cosa c’è oggi che all’epoca non c’era? Cosa c’era che oggi non c’è?

Le sole risposte che riesco a dare riguardano il senso del contesto, che in quella che abbiamo chiamato a grandi linee Prima Repubblica era a mio avviso drasticamente meno “affollato”, e nel contempo popolato da “funzioni culturali ed estetiche” immensamente superiori a quelle attuali.

Affollamento e bassezza culturale sono, in questo senso, le cifre più salienti di questo mondo, ovvero quelle che costantemente affiorano dalle mie elucubrazioni in materia, e il disagio che provo nell’esistere al suo interno di questo scenario affollato e greve deriva credo piuttosto direttamente dalla commistione di entrambe, direi perfettamente veicolata dai nuovi sistemi telematici di comunicazione globale.

Tra le attività umane che ritengo maggiormente influenzate da queste dinamiche c’è sicuramente la scrittura, e con essa, come ovvio, tutte le sue più o meno indirette derivate: lettura, intellettualismo, editoria, giornalismo, letteratura, fino alla fattispecie stessa dell’essere autori attraverso la parola scritta.

Parlando per esperienza diretta, io sono stato tra i primi a trovarmi perfettamente a mio agio nel mondo del cosiddetto “blogging”, ossia quella prassi di tenere un diario nel web. Tuttavia quelle prime esperienze risalgono circa agli inizi anni Duemila, in un contesto in cui Internet era effettivamente una frontiera di pura espressione libera, in cui il passato più remoto incontrava unicamente i vantaggi della modernità. La scrittura, per intenderci, continuava ad essere scrittura, e non aveva ancora conosciuto le conseguenze, a mio avviso disastrose, del social networking di massa.

Oggi, nel mettermi a scrivere su carta, percepisco tutta l’inutilità di un gesto che di fatto non ha più alcun senso, se non quello di annotare la lista della spesa o i numero di telefono da chiamare durante la giornata. Hanno coniato anche un acronimo: FOMO, ossia Fear Of Missing Out, paura di perdersi qualcosa. Ma non si tratta di una pura percezione illusoria. No, la scrittura oggi come oggi non può effettivamente più prendersi il lusso di essere una prassi solitaria e concentrata, pena l’esclusione dell’individuo dal flusso ormai continuo di informazioni.

Questa forzata trasformazione della scrittura è un fatto positivo o negativo? Ovviamente la mia indole tenderebbe a scegliere la seconda risposta, visto che non ci sono dubbi su quanto io sia nostalgicamente legato a un mondo dove gli autori erano autori, i libri non venivano sfornati da ghostwriter al soldo di agenzie pubblicitarie connesse con le statistiche di gradimento del web, e gli intellettuali avevano una voce e un seguito. Tuttavia cosa accadrebbe se iniziassimo a fare le cose esattamente come le facevamo un tempo? Molto semplicemente, faremmo finta di vivere in un mondo che non esiste più, e le nostre azioni andrebbero a riprodurre l’equivalente di una triste battaglia contro i mulini a vento.

Ecco perché ritengo che quella che io chiamo ancora “scrittura” debba anche rinascere in qualcosa che ho chiamato “telescrittura”, ovvero una forma immediata e militante di scrittura pensata per un mondo liquido, immediato, denso di multimedialità e comunque ancora in grado di percepire un lavoro interessante, laddove, ovviamente, esistente.

La telescrittura non snocciola opinioni, ma descrive argomentazioni inconfutabili. Non parla di idee, ma di fatti, di progetti, di realtà oggettive. La telescrittura veicola servizi, connessioni, proposte, chiamate all’azione, incontri e progettualità: essa incarna il superpotere digitale di un intellettuale rinato nel regno della tecnologia di massa.

Senza tanti giri di parole, io la immagino come una macchina da scrivere direttamente connessa al pubblico nella sua accezione più caotica e indifferenziata.

Alla luce di queste considerazioni ho rivisto un po’ tutta la mia presenza nel web, orientandola a funzioni non più di “sostituzione” dell’opera d’arte o d’espressione, ma di “connessione” tra me e il generico pubblico, che di volta in volta può essere rappresentato tanto da fruitori quanto da colleghi, amici, partner in affari, collaboratori e nodi della mia rete.

(To be continued…)

L’autore ci tiene a sottolineare che: Questo post è stato suscitato dalla consapevolezza che agli inizi della sopraccitata Seconda Repubblica era ancora possibile sentire un intellettuale vero parlare in perfetto francese della sua seconda fatica letteraria.

Singolari Avventurieri Non Ordinari

I primi blogger della (chiamiamola) “storia del Web” erano essenzialmente degli avventurieri singoli e singolari della rete che avevano solo un obiettivo: condividere esperienze a distanza, costruendo relazioni attraverso lo strumento ipertestuale. Strumento che, giova ricordarlo, era una sostanziale novità, per giunta confinata al contesto degli addetti ai lavori.

Il Web delle origini era un mezzo “straordinario” nel senso specifico di non ordinario. Di conseguenza, le relazioni che si intendevano ricercare ne riproducevano la medesima non ordinarietà.

Mi pare evidente quanto oggi come oggi la sostanziale ordinarietà del Web sottenda un bacino d’utenza così vasto da risultare altrettanto ordinario, nel senso di banale, chiassoso, sovraffollato, caotico, spesso greve, commerciale, gretto, solo capace di porgere l’ennesimo invito all’azione pecuniaria per acquistare fantomatici corsi o servizi in grado di trasformarci in multimiliardari.

Quanto al sistema culturale dei cosiddetti influencer, stendo un pietoso velo.

Eppure a me piacerebbe tornare, in qualche modo, a quel tipo di blogging! Mi chiedo: Sarebbe possibile? Se sì, in che senso? In che modo? Sulla base di quale strategia?

Io credo serva una ridefinizione del punto di vista. Dobbiamo cioè evitare l’idea che il Web sia una macchina per raggiungere il “pubblico indifferenziato” di ogni ordine, grado e latitudine. Ossia: oggi come oggi è evidente che la rete fornisce strumenti di marketing, ma il vero blogging (inteso ovviamente come appendice del tutto privata, completamente slegata da precis obiettivi commerciali) non può essere, secondo me, uno strumento di basso marketing relazionale.

Nel mio blog, io non vendo me stesso, ma sono me stesso. Lo sono in una prospettiva potenzialmente pubblica, ma non certo universale. Più precisamente, comunico agli altri esattamente come vorrei si comunicasse a me.

In questo, riproduco quell’antico atteggiamento dei vecchi blogger, pionieri di questa forma di scrittura.

No Longform & Cyberpunk Oldie

Ho coniato una nuova sigla, NOLONGFORM, per caratterizzare la mia “idea manifesto” per il mio, chiamiamolo, blogging style. Si potrebbe anche optare per una versione ulteriormente abbreviata in NOLOFO, che già mi piace ancora di più.

Sto scrivendo questa cosa con un mio vecchissimo laptop targato Compaq, ormai ridotto a una sorta di reperto cyberpunk. A parte l’architettura a 32 bit, ormai in totale disuso, lo strumento è letteralmente un rattoppo: batteria inesistente, funzionamento in presa diretta con caricatore rigorosamente non originale, adesivi ovunque, tastiera unta e bisunta (ma ancora fantasticamente comoda), nonché hard disk disintegrato (che non so come faccia a funzionare, peraltro piuttosto bene) e ventola sempre in tiro.

Però continua a piacermi. Si tratta di uno di quei computer che nostalgicamente mima la velocità di un tempo, non supportata da chissà che prerogative hardware. Il sistema operativo è un’antica versione di Ubuntu MATE, ovviamente priva di qualsiasi supporto.

Ecco un esempio di NOLOFO post.

Vivaldi Social in Mastodon!

Da tempo sono un utente del fediverso, attraverso la mediazione della bellissima piattaforma di Mastodon e dei suoi specifici nodi (istanze).

Ebbene, oggi ho avuto la notizia che Vivaldi ha messo in rete il suo Mastodon, dove tutti noi della community siamo stati automaticamente traghettati. Fantastico!

Quindi, mi trovate anche in Vivaldi Social, dove mi sono letteralmente spostato di peso!

https://social.vivaldi.net/@creativephil

Nasce il Non Fungible Post

L’idea di una prassi targata NFP (Non Fungible Posting), annotata stamane nel mio Mastodon. Interessante. Si parla della scrittura nel web (ossia, nel Web3) come di una potenziale modalità aumentata, che consenta non solo di leggere, ma anche di collezionare in uno spazio privato. (Come ovvio, o come spero ovvio, c’è di mezzo la blockchain.)

Un calligramma digitale. Omaggio indiretto a Brion Gysin.

Tutto questo ha a che fare con l’idea determinante di composizione. Laddove l’intelligenza artificiale svolge ormai tutto al tuo posto, c’è poco da fare: l’arte vera più che mai sorge dalla capacità di comporre in sequenze spaziotemporali sensate.

Lungo una serie abbastanza corposa e apprezzata di NFT collezionabili snocciolati nella mia pagina Cent ho cercato di fare esattamente questo, anche se la dotazione fattuale di ispirazioni non mi ha permesso di sfruttare la tecnica fino in fondo, o almeno come vorrei. Ma sono comunque soddisfatto. Ho una marea di collezionisti che possiedono volontariamente quello che scrivo e associo “compositivamente” a immagini, video e altre espressioni multimediali.

Su questi concetti dovrò necessariamente tornare…